
Stress idrico della vite e qualità dell'uva e del vino
Lo stress idrico e l’emergenza acqua entro il 2040
Lo stress idrico è una condizione, temporanea o prolungata, di assenza di acqua, solitamente carente a livello del terreno. Come tutti gli stress vegetali può comportare danni primari o danni secondari ad una pianta.
Secondo il rapporto del World Resources Institute (WRI), che ha misurato la domanda e la disponibilità di acqua in 167 Stati, l’emergenza dell’acqua sarà uno dei problemi più seri che colpirà il nostro pianeta, non solo nelle zone povere ma anche nei Paesi più sviluppati. Entro il 2040 infatti saranno ben 33 gli Stati che dovranno affrontare uno stress idrico “estremo”: tra questi circa 14 si trovano nella sola area mediorientale, con gravi rischi di instabilità politica, ma la scarsità di risorse idriche, sottolineano i ricercatori, si farà sentire anche in altre parti del mondo tra cui anche in alcune zone italiane e balcaniche.
Il calo delle risorse idriche - si legge nel rapporto - è stato tra i fattori che hanno costretto 1,5 milioni di persone, in maggioranza agricoltori e pastori, a lasciare le loro terre per trasferirsi nelle aree urbane aumentando così la destabilizzazione generale del Paese. Questo fenomeno avrebbe inoltre giocato un ruolo importante nel lungo conflitto tra Israele e i Territori palestinesi.
I ricercatori rivelano che anche Cile, Estonia, Namibia e Botswana potrebbero sperimentare un forte aumento dello stress idrico nei prossimi 35 anni, con ripercussioni su imprese, agricoltura e intere comunità. Anche le superpotenze globali come Usa, Cina e India non sono immuni dai rischi: la scarsità idriche e lo stress idrico sulle coltivazioni, pur rimanendo costante a livello nazionale, potrebbe aumentare tra il 40% e il 70% in alcune aree, come il sudovest degli Stati Uniti o la provincia cinese di Ningxia, una delle regioni cinesi più promettenti per la produzione vitivinicola che sta già investendo notevoli risorse per la irrigazione.
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Lo stress idrico nel vigneto
La vite è una pianta che bene si adatta agli ambienti caldo aridi. Molti areali di coltivazione della vite sono caratterizzati da limitate precipitazioni stagionali, in alcuni casi vi è disponibilità di irrigare e si ricorre ad interventi irrigui pianificati o di soccorso, in altri casi l’impossibilità di ricorrere a questa pratica, o la scelta agronomica di non ricorrervi, comporta uno sviluppo vegetativo e riproduttivo in condizioni idriche limitanti che noi definiremo deficit idrico.
Il deficit idrico limita la pianta nel suo sviluppo sia vegetativo che riproduttivo. Per quanto riguarda la maturazione del frutto, condizioni di deficit idrico ne influenzano sia l’accumulo dei metaboliti primari che dei metaboliti secondari e possono influenzare positivamente la qualità dei vini. Per questo in diversi areali viticoli l’irrigazione è proibita come accade per le Appelation d’Origine Contrôlée (AOC) francesi e come avveniva in tutta la Spagna fino a non molti anni fa.
L’irrigazione e la sua gestione rimangono comunque uno strumento nelle mani dell’agricoltore per ottimizzare le performance produttive del vigneto. In particolare, l’applicazione di un deficit idrico moderato e controllato permette di produrre uve di maggior qualità, mantenendo una soddisfacente produttività delle piante. D’altra parte un deficit idrico eccessivo porta come conseguenza a maturazioni incomplete con grado zuccherino insufficiente e polifenoli con eccessivo carattere di astringenza e amaro.
L’irrigazione nel vigneto
L’irrigazione e la sua gestione rimangono comunque uno strumento nelle mani dell’agricoltore per ottimizzare le performance produttive del vigneto. In particolare, l’applicazione di un deficit idrico moderato e controllato permette di produrre uve di maggior qualità, mantenendo una soddisfacente produttività delle piante. D’altra parte un deficit idrico eccessivo porta come conseguenza a maturazioni incomplete con grado zuccherino insufficiente e polifenoli con eccessivo carattere di astringenza e amaro.
La scarsità della risorsa idrica sia per usi agricoli che per usi industriali e urbani ha negli anni recenti spostato l’attenzione verso una gestione moderna e accurata dell’acqua in viticoltura, in modo da massimizzarne l’efficienza d’uso. L’utilizzo delle così dette deficit irrigation strategies, che si basano su piani di irrigazione che apportano livelli idrici minori della perdita evapotraspirativa della coltura durante la stagione o durante particolari fasi fenologiche, è divenuto sempre più comune in frutticoltura così come in viticoltura (Fereres e Soriano, 2007).
In viticoltura si sono affermate tre strategie: la così detta deficit irrigation (DI), la regulated deficit irrigation (RDI), e la partial rootzone drying (PRD) (Chaves et al., 2010).
Le importanti implicazioni pratiche ed economiche di queste tecniche irrigue hanno portato i ricercatori a compiere molti studi riguardanti l’argomento, anche in Friuli.
I risultati sono stati spesso contraddittori ed hanno evidenziato risposte fisiologiche dissimili tra le varietà e tra i diversi ambienti di coltivazione. Inoltre, molti di questi studi hanno valutato solo la risposta produttiva della pianta al deficit idrico trascurando l’aspetto legato alla qualità delle produzioni, aspetto che nella vitivinicoltura moderna ha assunto rilevanza primaria.
Nello scorso decennio, l’introduzione di nuove tecniche di analisi basate sulla biologia molecolare ha permesso di studiare più in dettaglio la risposta fisiologica e metabolica della vite al deficit idrico. In particolare molto è stato fatto per comprendere l’effetto del deficit sul metabolismo primario e secondario del frutto, visto il forte impatto che questo ha sulla qualità dei vini.
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Prime prove sperimentali sulla gestione dell’acqua in vigneto in Friuli: Pignolo e Sauvignon
Ersa, insieme all’Università di Udine, ha eseguito già nel 2006 delle prove presso l’Azienda agricola “Tenuta Villanova” a Villanova di Farra d’Isonzo (GO) sui vigneti di Pignolo (vitigno autoctono friulano) e Sauvignon, entrambi allevati a Guyot con distanze da 0.70 m x 2.41 e a 1 m x 2.40, per determinare se una riduzione degli apporti idrici nel vigneto poteva mantenere o migliorare il livello qualitativo delle uve e dei vini.
Per determinare lo stato idrico delle piante, è stato utilizzato un parametro innovativo: il potenziale idrico fogliare, misurato con la camera a pressione di Scholander, il quale permette di rilevare sulla singola foglia la condizione di idratazione o di carenza idrica della pianta. Questo parametro, di recente introduzione dalla ricerca alla tecnica di coltivazione in vigneto, si è dimostrato particolarmente utile nella gestione ottimale degli apporti irrigui in vigneto.
I risultati delle prove, hanno riportato, in termini quantitativi, che la produzione non è stata influenzata dello stress idrico imposto. Differenze tra le tesi sono state rilevate per quanto riguarda la qualità delle uve e dei vini ottenuti, evidenziando un miglioramento di alcuni parametri analitici e sensoriali delle tesi sottoposte a carenza idrica.
L’irrigazione sembra avere posticipato la maturazione fenolica ottimale sulla tesi controllo. L’assenza di apporti idrici ha accelerato invece la maturazione dell’uva in condizioni dello stress idrico. Dall'analisi sensoriale dei vini Pignolo sono emerse anche differenze organolettiche tra le due tesi. In condizioni di stress, è stato evidenziato olfatto più intenso, gusto meno acido e più equilibrato, nonché una migliore struttura del vino.
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Effetto dello stress idrico sulla pianta e sul contenuto dell’uva
In contemporanea alle prove sperimentali svolte con Ersa, il gruppo di ricercatori dell’Università di Udine ha iniziato ad occuparsi di vari progetti sul deficit idrico, coordinati dal prof. Enrico Peterlunger, concentrandosi sull’effetto che il deficit idrico ha non solo sulla fisiologia della pianta della vite, ma anche sulla crescita e sul metabolismo del frutto.
Nascono così prove su diverse varietà (Pignolo, Sauvignon, Merlot, Ribolla Gialla e Tocai) attraverso una sperimentazione quadriennale (2003, 2004, 2007, 2008) e una successiva sperimentazione triennale (2011,2012,2013) presso l’azienda agraria sperimentale “A.Servadei”dell’Università degli Studi di Udine.
Dalle ricerche che alleghiamo si può concludere che l’imposizione di un deficit idrico moderato-severo in vigneto riduce la produzione in termini quantitativi, ma può influenzare positivamente la qualità delle uve da trasformare in vino; l’imposizione di un deficit eccessivo può rallentare o impedire la maturazione delle uve con effetti di riduzione della quantità ma anche della qualità della produzione.
Anche se la risposta al deficit non e univoca tra le diverse varietà, il deficit influenza il contenuto di metaboliti primari e secondari del frutto. Soprattutto, il deficit aumenta la sintesi dei pigmenti antocianici e la concentrazione delle proantocianidine (tannini) nelle varietà rosse.
Nonostante gli studi a riguardo siano ancora pochi, anche la sintesi di alcuni composti volatili e dei loro precursori risulta essere influenzata dal deficit. L’effetto del deficit sul metabolismo secondario del frutto ha ricadute positive sulla qualità organolettica dei vini. Un’accurata e fine modulazione delle varie tecniche di trasformazione enologica di uve sottoposte a deficit idrico potrà ottimizzare l’esito positivo in termini qualitativi di un’irrigazione controllata, portando ad un prodotto finito di maggior pregio.
Un’analisi dettagliata della risposta fisiologica e molecolare delle diverse varietà al deficit idrico permetterà di graduare la pratica irrigua in vigneto per ridurre l’utilizzo della risorsa idrica e ottimizzare la qualità dei vini anche in relazione agli altri fattori ambientali che caratterizzano i diversi territori vitati nazionali e internazionali.
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- Influenza del deficit idrico sulla qualità delle uve
- Effetto dello stress idrico sull accumulo di antociani e tannini
- Progetto GISVI, 2013
Gestione automatizzata dell'irrigazione in vigneto: il progetto italo-israeliano "Irrigate"
Sviluppare un programma di gestione automatizza dell’irrigazione in vigneto attraverso sensori che controllano clima, piante e suolo per gestire l’impatto della siccità sulla produttività della vite e sulla qualità delle uve è invece l’obiettivo del progetto di ricerca biennale italo-israeliano “Irrigate”, partito nel 2014 e coordinato dall’Università di Udine e sostenuto dai ministeri degli Affari esteri italiano e dell’Industria, Commercio e Lavoro israeliano.
"Il progetto" – spiega il coordinatore Enrico Peterlunger, dell’Università di Udine – "creato con i partner israeliani, un’eccellenza mondiale nel settore dell’irrigazione e delle tecnologie anti siccità, nasce dalla constatazione che, in questi anni, la coltivazione della vite è sottoposta a nuove minacce legate a condizioni climatiche sempre più sfavorevoli. Nelle ultime annate sono intensificati i periodi di siccità, anche in territori caratterizzati da disponibilità idriche non limitanti per la sua coltivazione, come il Friuli Venezia Giulia, dove negli ultimi anni la siccità estiva ha portato a un significativo calo delle produzioni con ripercussioni talvolta negative sulla qualità dei vini. Questo studio beneficerà direttamente sia la viticoltura friulana che israeliana, e avrà ricadute positive anche nelle altre zone vitate mediterranee.“
Il progetto prevede innanzitutto lo studio dei meccanismi fisiologici che regolano la risposta della vite in situazioni di carenza idrica per limitarne gli effetti negativi su qualità e quantità delle produzioni. Contemporaneamente sarà realizzato un programma “intelligente” e automatico di controllo dell’irrigazione nei vigneti che permetta di applicare quantitativi ottimali di acqua per salvaguardare le rese e ottimizzare la qualità delle produzioni nei periodi siccitosi.
“Irrigate – Automated irrigation management via integrated climate-plant-soil sensing to prevente water shortage’s impact on grape yield and quality” rientra nell’Accordo di cooperazione nel campo della ricerca e dello sviluppo industriale, scientifico e tecnologico tra Italia e Israele. Partner del progetto sono il dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’Ateneo friulano e il centro di ricerca IGA, e, per parte israeliana, l’istituto di Biotecnologia e Agricoltura delle zone aride dell’Università Ben Gurion nel Negev e la società Netafim.
Patricija Muzlovic, Paolo Sivilotti
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Domande correlate
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Si parla tanto della sostenibilità in agricoltura e in particolare in viticoltura. Di cosa si tratta?
Sostenibilità e sviluppo si incontrano e si integrano a vicenda nel concetto di “Sviluppo Sostenibile”, che negli ultimi 20 anni è stato oggetto di diverse interpretazioni. La definizione più famosa è quella del Rapporto Bruntland (1987) che vede nella sostenibilità lo "sviluppo che risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità". Un’altra definizione “storica” è quella formulata nel 1991 in “Caring for the Earth: A Strategy for Sustainable Living” dove la pratica dello sviluppo sostenibile è “il soddisfacimento della qualità della vita, mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli ecosistemi che ci sostengono”. Le due definizioni danno assieme una chiara comprensione del concetto di Sviluppo Sostenibile inteso come beneficio per le persone e per gli ecosistemi. Il Summit mondiale di Rio De Janeiro (1992) ha segnato un passaggio storico nella consapevolezza del problema ambientale planetario, che non può essere affrontato riparando i danni a posteriori, ma riorientando il modo di produrre e consumare verso la qualità ambientale e sociale. Il World Summit on Sustainable Development (WSSD) di Johannesburg (2002) ha ampliato il concetto di Sviluppo Sostenibile come integrazione di tre dimensioni, strettamente collegate tra loro:
- Economia (povertà, modelli di produzione e consumo...)
- Società (pace, sicurezza, diritti e libertà fondamentali, diversità culturali...)
- Ambiente (protezione e gestione delle risorse naturali...)
Lo Sviluppo Sostenibile può quindi essere considerato come un equilibrio dinamico tra qualità ambientale, istituzionale, sviluppo economico e equità sociale: non mira al mantenimento di uno “status quo”, ma si muove invece nella direzione del cambiamento, riconoscendo che la società umana è in costante movimento.
Solo dal 25 settembre 2015, con la nuova “Agenda 2030” dell’ONU, tutti i paesi del mondo senza distinzioni tra ricchi e poveri, avanzati in via di sviluppo, hanno sottoscritto l’impegno a perseguire nei prossimi 15 anni I 17 obiettivi comuni per lo sviluppo e la salvezza del pianeta, che non sono soltanto di natura ambientale ma anche sociale ed economico. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile hanno così sostituito da quest’anno gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (scaduti nel 2015), chiamando tutti i paesi del mondo a formulare una strategia di sviluppo universale adeguata senza distinzioni tra paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. Infine, l’agenda è frutto di un grande processo partecipativo al quale possono tutt’ora contribuire tutti, dalla società civile, mondo politico, mondo scientifico e produttivo.
Su iniziativa dell’Università Tor Vergata di Roma e della Fondazione Unipolis, è nata invece a febbraio 2016, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS) che mette insieme un gruppo di lavoro trasversale a più settori e a più mondi creando una rete virtuosa composta al momento da un centinaio di membri. La sua missione è di raccogliere e declinare su scala nazionale la sfida divenuta oggi più che mai globale della sostenibilità. L’alleanza è stata ufficialmente presentata alla Camera dei deputati davanti alla presidente Laura Boldrini e al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti l’11 marzo 2016.
Il concetto di “agricoltura sostenibile” è molto ampio e complesso. Può essere visto dal punto di vista ambientale, intendendo un'agricoltura rispettosa delle risorse naturali quali acqua, fertilità del suolo, biodiversità, e che non utilizzi sostanze chimiche inquinanti. Si può parlare di agricoltura sostenibile dal punto di vista sociale, cioè la capacità dell'intera produzione agroalimentare mondiale di far fronte alla domanda globale, non solo dei paesi industrializzati, ma anche di quelli in via di sviluppo. Si può, infine, intendere l'agricoltura sostenibile, dal punto di vista economico, cioè vantaggiosa per l'agricoltore favorendo un reddito equo (commercio equo-solidale), la tutela della salute dell'operatore e il miglioramento della qualità della vita degli agricoltori e dell'intera società. Chi si occupa di agricoltura sostenibile, privilegia pertanto quei processi naturali che consentono di preservare la “risorsa ambiente”, evitando così il ricorso a pratiche dannose per il suolo (come le lavorazioni intensive) e a sostanze chimiche (pesticidi, ormoni, ecc.) e utilizzando fonti energetiche rinnovabili. Non esiste un unico modo per fare agricoltura sostenibile (dalla agricoltura biologica, biodinamica, permacultura, agricoltura sociale, agricoltura solidale ed infine, agricoltura integrata).
La sostenibilità è un argomento centrale nel mondo viticolo ed enologico, ma dare una definizione univoca di tale concetto può a volte essere difficile, dal momento che i sistemi agricoli sono complessi e caratterizzati da differenti gradi di dinamismo, e coinvolgono spesso visioni e approcci fondamentalmente differenti in funzione di obiettivi e valori in campo. In ogni caso, l’agricoltura, nel caso specifico, le viticolture attuali portano con loro una serie di problemi legati ad insicurezze economiche date dal momento storico in cui ci troviamo, necessità ecologiche, di ovvia natura, e fabbisogni sociali che richiedono interventi mirati e tempestivi. Partendo da ciò, la definizione di viticoltura sostenibile non può prescindere da un’accezione pratica che trovi riscontri applicativi nelle realtà produttive. Constatando l'esistenza di diversi approcci e regolamenti nazionali relativi in particolare alla produzione ragionata, integrata e sostenibile, l'OIV (Organizzazione Internazionale del Vigneto e del Vino) ha deciso di armonizzare tali approcci e di apportarvi le specificità proprie al settore vitivinicolo già nel 2004. Pertanto, l’OIV ha adottato la definizione e i principi generali dello sviluppo sostenibile applicato alla vitivinicoltura (CST 1-2004) in quanto segue: "Approccio globale commisurato ai sistemi di produzione e di trasformazione delle uve, associando contemporaneamente la longevità economica delle strutture e dei territori, l’ottenimento di prodotti di qualità, la presa in considerazione delle esigenze di una viticoltura di precisione, dei rischi legati all’ambiente, alla sicurezza dei prodotti, alla salute e dei consumatori e la valorizzazione degli aspetti patrimoniali, storici, culturali, ecologici ed estetici." Per rispondere a questa definizione, nel 2008 l'OIV adotta una guida per l'attuazione del concetto di sviluppo eco-sostenibile nel settore vitivinicolo mondiale (CST 1-2008).
Secondo la Risoluzione CST 1/2008 dell’OIV i punti fondamentali per una viticoltura sostenibile toccano i seguenti ambiti:
- produzione delle uve,
- trasformazione delle uve in vino;
- condizionamento dei prodotti (confezionamento e stoccaggio).