
Novità sulla resistenza
Primi vitigni resistenti alle malattie prodotti in Italia
Sono dieci, cinque a bacca bianca - Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos - e cinque a bacca rossa - Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Julius, i primi vitigni resistenti alle malattie, prodotti in Italia dai ricercatori dell’Università di Udine e dell’Istituto di Genomica applicata (IGA) di Udine. Le nuove varietà, registrate nel Registro nazionale della varietà di vite in il 3 aprile 2015, sono state ufficialmente presentate al pubblico e alla stampa in gennaio 2016 a Udine, alla presenza del delegato del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Salvatore Parlato, e dell’assessore regionale alle risorse agricole e forestali,Cristiano Shaurli. Le “magnifiche dieci”, come le chiamano i ricercatori udinesi, sono frutto di 15 anni di lavoro di ricerca e di una straordinaria sinergia tra pubblico e privato. Il più grande vantaggio delle nuove varietà di viti sarà la possibilità di abbattere notevolmente i costi della viticoltura, grazie al risparmio sui trattamenti.
Centinaia di incroci effettuati attraverso processi naturali di incrocio e selezione, decine di migliaia di piante valutate, oltre 500 micro-vinificazioni ripetute negli anni presso l’Unione Italiana Vini di Verona e i Vivai Cooperativi di Rauscedo. Sono soltanto alcuni numeri del progetto, avviato nel 1998, con il principale scopo di ridurre l’utilizzo di fitofarmaci in questo settore della produzione agricola e rispondere alla situazione critica della viticoltura in Europa, attività agricola tra le più impattanti sull’ambiente, che, pur occupando soltanto il 3,3% della superficie agricola, utilizza ben il 65% di tutti i fungicidi impiegati in agricoltura. In viticoltura, infatti, i costi di produzione sono notevoli a causa del numero elevato di interventi per la difesa dei vigneti, e la disponibilità di varietà che non richiedono trattamenti è molto attraente.
Gli incroci sono stati eseguiti presso l’Azienda agraria universitaria “Antonio Servadei” di Udine, dove a oggi si sono valutati oltre 24 mila piante derivanti da incrocio. I vitigni selezionati sono stati valutati dall’Università di Udine, in collaborazione con i Vivai Cooperativi di Rauscedo, ai quali sono stati concessi i diritti esclusivi di moltiplicazione e commercializzazione, in impianti sperimentali a Fossalon di Grado (GO), in Toscana, nella zona del Chianti, e sul Collio sloveno. Nel 2015 c’è stata la copertura con brevetto europeo e internazionale delle nuove selezioni e l'inserimento delle nuove varietà nel registro nazionale italiano presso il Ministero delle Politiche agricole.
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Il miglioramento genetico della vite
Il miglioramento genetico della vite presenta due facce: l’una riguarda l’uva da tavola, l’altra riguarda l’uva da vino. Nel primo caso, il miglioramento genetico tradizionale, basato sull’incrocio e la selezione, è stato intenso ed ha portato ad un arricchimento spettacolare del panorama varietale. Nel secondo caso, abbiamo assistito ad una storia sofferta, con programmi che hanno prodotto poche novità interessanti e, per di più, queste ultime hanno avuto finora un posto del tutto marginale nella viticoltura da vino.
La ragione di questo scarso successo va cercata nella grande difficoltà per queste nuove varietà di uva da vino, frutto generalmente di incrocio tra genotipi all'interno di V. vinifera, di trovare un posto accanto a varietà molto note e celebrate, che abbinate al territorio di produzione hanno creato un connubio “cépage-terroir” (come dicono i francesi) difficile da scalfire.
L’abbinamento tra un vitigno e il suo ambiente di coltivazione lo conoscevano bene anche gli antichi. Plinio, nella sua monumentale storia naturale, scriveva che “alcune viti hanno un tale amore per il loro terreno che lasciano ad esso tutta la loro fama e non possono essere trasferite in alcun luogo senza che la loro qualità venga intaccata” [Plinio,Naturalis historia III, 2-26]. Seguendo questo concetto, culturalmente e, in qualche maniera, anche biologicamente interessante, si è arrivati ad una viticoltura da vino che ha selezionato nel tempo vini e territori di grande eccellenza, ma ha altresì ingessato il comparto, rendendolo insostenibile dal punto di vista ambientale.
La viticoltura in Europa occupa il 3% della superficie agricola, ma impiega il 65% di tutti i fungicidi impiegati in agricoltura, pari a 62 mila t (fonte Eurostat 2007). La viticoltura europea ha ragioni per riflettere sul fatto di avere sempre rinviato il rinnovo delle varietà, come avviene per qualsiasi altra coltura agraria. Oggi in molti Paesi europei è in atto uno sforzo per ridurre l’uso di pesticidi in viticoltura, in linea con gli orientamenti più generali della politica agricola comune (PAC) per quanto riguarda la sostenibilità ambientale e la salute del consumatore. Una delle strade da percorrere è certamente quella della creazione di nuove varietà di vite da vino resistenti/tolleranti alle malattie e questa è la strada che hanno percorso i ricercatori udinesi quando hanno iniziato, nel 1998, un programma di incrocio e selezione per la creazione di viti da vino resistenti ad alcune malattie.
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Il miglioramento genetico della vite in Europa
Ad onore del vero, programmi di incrocio e selezione nella vite da vino per la resistenza alle malattie erano iniziati in Europa già nella seconda metà del XIX secolo a seguito dell’introduzione dal Nuovo Mondo di tre patogeni – fillossera, peronospora e oidio – che avevano devastato la viticoltura a partire dalla seconda metà dell’800. Risultato di questa attività sono state una serie di varietà ottenute per incrocio con specie di vite americane, ma anche asiatiche.
Di queste varietà sono molto noti gli ibridi di prima generazione (Clinton, Isabella, Noah, Bacò, Seyval, Villard Blanc, ecc.) , ma il percorso dei “breeder” è stato lungo. A queste varietà di prima generazione sono seguite quelle di seconda e poi di terza e quarta generazione, con le quali il sangue americano è stato via via progressivamente ridotto a favore del sangue di vite europea. Oggi ci troviamo di fronte ad oltre un centinaio di varietà e selezioni, che non ricordano assolutamente le caratteristiche enologiche negative delle viti selvatiche e a buon titolo – come ha deciso alcuni anni fa l'UE – possono essere coltivate nei Paesi dell’Unione. In questo contesto europeo, si inserisce l’attività di incrocio e selezione avviata dall'Università di Udine, assistita dall'Istituto di Genomica Applicata, che aveva partecipato con successo nel 2006 al progetto italo-francese di sequenziamento del genoma della vite.
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Le fonti di resistenza
Per quanto riguarda le due malattie fungine prese in considerazione (peronospora e oidio), le fonte di resistenza riportate in letteratura sono numerose. Il gruppo di Udine ha lavorato finora con due resistenze monogeniche a peronospora (Rpv3, Rpv12), provenienti rispettivamente da specie americane e asiatiche, e due resistenze monogeniche ad oidio (Ren1 e Run1), la prima delle quali identificata in alcune varietà di ‘vinifera’ coltivate in alcune repubbliche dell’Asia centrale (Uzbekistan, Tadjikistan, Daghestan, Moldova, Armenia, Russia, Georgia); la seconda presente in Muscadinia, un genere affine al genere Vitis, su cui in passato hanno lavorato per alcuni decenni i francesi e introgressa in vinifera dai ricercatori di quel Paese. Gli ibridi interspecifici fertili ottenuti all’inizio del XX secolo da Detjen, nonostante il diverso numero di cromosomi che caratterizza le due specie ( 2n = 38 per Vitis e 2n = 40 per Muscadinia) hanno permesso, con una serie di incroci successivi, di ottenere discendenze con corredo cromosomico 2n = 38, fertili, con il gene RUN1 e caratteristiche interessanti delle bacche. Ovviamente per le resistenze identificate in viti americane e asiatiche non si è partiti dalle specie selvatiche, ma si è fatto uso dei risultati di incroci operati da ricercatori di altri Paesi, come Germania, Francia, Ungheria, Austria, Repubblica Serba e Uzbekistan.
Si tratta di selezioni avanzate, alcune già in coltivazione in diversi Paesi dell’Ue e fuori Europa. Le selezioni resistenti utilizzate negli incroci sono Bianca, Regent, 20/3, Seyval, Pannonia, SK-00-1/2 e altre. Si tratta di varietà con “pedigree” a volte molto complessi, che riflettono il grande lavoro svolto da istituti di ricerca stranieri in 50 e a volte più anni di attività.
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I piani di incrocio e l’attività di selezione
Il piano prevedeva all'inizio l’incrocio di alcune varietà di pregio internazionali come Chardonnay, Sauvignon, Merlot, Cabernet Sauvignon, nazionali come il Sangiovese e locali come il Tocai friulano (oggi ‘Friulano’), da una parte, e una serie di varietà e selezioni avanzate ottenute dai Centri di ricerca viticola soprattutto dell’Europa continentale, tra i quali è doveroso ricordare, per la disponibilità e il valore del materiale fornito, l’Istituto per la Viticoltura di Geilweilerhof e l’Università di Geisenheim in Germania, l’Istituto di Viticoltura ed Enologia di Pecs in Ungheria e l’Università di Novi Sad in Serbia.
In quindici anni di attività sono state provate oltre 360 combinazioni di incrocio, utilizzando nel tempo alcune decine di varietà commerciali di pregio e oltre una decina di genotipi portatori di resistenze. Sono stati eseguiti anche incroci di seconda e terza generazione, utilizzando come genitori i figli degli incroci precedenti con lo scopo, come si vedrà più avanti, di differenziare la tipologia di prodotto e di combinare insieme resistenze provenienti da varietà e selezioni diverse. Per ogni combinazione di incrocio sono stati allevati dai 100 ai 2.000 semenzali. Per chi non fosse del mestiere, il semenzale (o la progenie) è una pianta ottenuta da seme, ottenuto a sua volta, nel caso di programmi di incrocio, attraverso incrocio controllato. I semenzali sono stati valutati attraverso un processo a tre stadi. La prima valutazione ha riguardato la resistenza; gli individui che non risultavano resistenti sono stati esclusi dagli stadi successivi. Sugli individui resistenti, innestati su portinnesto clonale, è stata condotta una valutazione agronomica e sugli individui migliori sono state condotte le nano- e micro-vinificazioni.
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La valutazione della resistenza, la valutazione agronomica e enologica
La valutazione ha riguardato soprattutto la resistenza a peronospora e, in secondo ordine, la resistenza ad oidio. Si è lavorato con due geni per la resistenza a peronospora e due geni per la resistenza ad oidio. Nei primi anni l’attività di selezione per la peronospora è stata basata sia su osservazioni di campo su piante non trattate con anticrittogamici, sia su osservazioni di laboratorio condotte su dischi fogliari sottoposti ad inoculo artificiale con sospensioni conidiche. Negli ultimi anni, grazie anche al lavoro di sequenziamento del genoma della vite e alla mappatura delle regioni del genoma dove sono presenti i geni di resistenza, è stato possibile adottare le tecniche di selezione assistita, basate sull’analisi di sequenze di DNA delle regioni che portano la resistenza o regioni molto vicine con tasso di ricombinazione assente o molto basso.
Si tratta di un metodo di selezione noto come MAS (“Marker-Assisted Selection”), che permette di sostituire le osservazioni di campo, lunghe e a volte poco affidabili, con l’analisi di marcatori molecolari associati ai geni di resistenza. L’analisi del DNA è possibile quando ancora le piante nate da seme sono piccole, allo stadio di 2-3 foglie vere. Sono evidenti i vantaggi di questo approccio che permette di eliminare rapidamente le piante che non interessano, riducendo gli spazi in campo per l’allevamento degli incroci e riducendo di conseguenza i tempi e i costi della selezione stessa. Un vantaggio non trascurabile dell’analisi molecolare è la possibilità di selezionare, mediante una analisi aplotipica della regione che porta la resistenza, gli individui che hanno mantenuto una parte molto piccola della regione del cromosoma della specie selvatica originale, eliminando in tal modo le regioni non legate alla resistenza, che spesso portano caratteri indesiderati.
La valutazione agronomica ha riguardato la vigoria delle piante, la fertilità basale delle gemme, la produttività, la forma e le dimensioni del grappolo. Sono state eliminate le piante troppo deboli o eccessivamente vigorose, quelle con bassa fertilità basale delle gemme, quelle con produttività troppo bassa o troppo elevata. Particolare attenzione è stata posta al grappolo, selezionando di preferenza individui con grappolo spargolo o non troppo compatto, dato che spesso il grappolo molto compatto è soggetto a marciumi in fase di maturazione dell’uva.
La valutazione enologica: è utile ricordare in questo contesto che da un incrocio non si ricostruisce il genoma di un genitore molto eterozigote, come sono le varietà di vite. Quindi le aspettative di alcuni viticoltori di riavere attraverso incrocio un Cabernet o un Sangiovese resistenti alla malattie sono fuori luogo. Ciò nonostante, come avviene nell'uomo, in cui i figli non sono uguali a nessuno dei genitori, ma ne ricordano le sembianze e alcuni tratti del carattere, anche nella vite alcuni genitori lasciano un’impronta più o meno marcata delle proprie attitudini enologiche nella discendenza. Così le selezioni resistenti figlie di Sauvignon spesso ricordano il genitore per la presenza nei vini di tioli e metossipirazine; analogamente, i figli di Tocai friulano sono caratterizzati spesso dalla presenza nel vino di norisoprenoidi e terpenoli, tipici del genitore da cui provengono.
Il mercato e le prospettive future
Dieci selezioni – 5 a bacca bianca e 5 a bacca rossa – sono state dunque registrate nel 2015. Troppe, dirà qualcuno. Riteniamo di no, considerando tre aspetti: la diversità di “background” genetico dovuto all'uso di parentali diversi, l’opportunità di lasciare al mercato il diritto di selezionare le varietà migliori e la diversità degli ambienti in cui le nuove selezioni potranno essere introdotte. Riteniamo che alcune selezioni siano certamente adatte ad ambienti mediterranei, ma, considerata la tolleranza alle basse temperature, alcune di queste possano adattarsi bene anche a climi più freddi, tipici del centro Europa e dell’Asia centrale, dove esiste una viticoltura in forte espansione.
Quelli in via di introduzione sul mercato sono incroci fatti prevalentemente negli anni 2002-2003, utilizzando un numero limitato di genitori. Da allora i ricercatori dell’Università di Udine e dell’IGA hanno continuato ad eseguire nuovi incroci con due obiettivi:
- combinare insieme geni diversi di resistenza allo stesso patogeno, per rendere durevoli le resistenze stesse;
- differenziare il prodotto, orientando la scelta dei parentali verso la produzione di varietà utili come base spumante, varietà adatte all'invecchiamento, varietà aromatiche e da dessert, ecc.
Nel frattempo continua la ricerca di nuove fonti di resistenza, sempre nell'ottica di avere a disposizione una batteria di geni che possano far fronte al mutare del patogeno, nel quale è da attendersi nel tempo la selezione di nuove razze in grado di superare geni di resistenza presenti nelle varietà commerciali. E’ un’attività che non ha fine: una lotta per la sopravvivenza – come dice Darwin – in cui il patogeno deve superare le resistenze della pianta ospite e la pianta creare nuove varianti di resistenza, con l’obiettivo per entrambi di sopravvivere. C’è da esplorare soprattutto le fonti di resistenza presenti nelle specie asiatiche, diffuse per esempio in Cina (V. amurensis, V. betulifolia, V. chunganensis, V. brevipedunculata, V. romanetii, V. thumbergii, V. lanata e altre), per le quali sono disponibili poche accessioni in occidente.
Gabriele Di Gaspero e Patricija Muzlovic
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Uno dei temi più rilevanti legati all'introduzione degli OGM è la loro sicurezza alimentare. Al riguardo c'è nella gente il timore che la modificazione genetica possa comportare l'introduzione nella catena alimentare di prodotti con potenziali effetti collaterali non del tutto prevedibili, per cui cibarsi con alimenti OGM potrebbe comportare maggiori rischi rispetto ai cibi tradizionali non geneticamente modificati. E' veramente così?
Riguardo alle biotecnologie e, in particolare all'introduzione di organismi geneticamente modificati (OGM) nel settore agroalimentare, si è acceso negli ultimi anni un forte dibattito a livello nazionale e internazionale relativamente alle tematiche della protezione dell'ambiente e della salute, così come implicazioni economiche e sociali e questo nonostante ci sia ampio consenso in ambito scientifico nel ritenere che i cibi OGM non presentino rischi maggiori di quanti ne presenti il normale cibo.
Una delle fonti principali dove poter trovare informazioni sull'argomento è sicuramente EFSA, l’agenzia europea, istituita nel 2002, fonte indipendente di consulenza scientifica e comunicazione sui rischi associati alla catena alimentare. La legislazione alimentare generale ha creato un sistema europeo di sicurezza alimentare in cui la responsabilità di valutare i rischi e quella di gestirli sono tenute separate. L’agenzia che opera in modo indipendente dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dagli Stati membri, è stata, ha di recente dedicato una sezione del proprio sito informativo proprio al tema OGM, sulle richieste di autorizzazione di OGM e sulla cooperazione con gli Stati membri dell'UE. Un'altra sezione illustra il quadro normativo che disciplina il lavoro dell'EFSA in tema di OGM.Già nel 2011 l'EFSA ha infatti avviato un progetto per valutare otto nuove tecniche di miglioramento di vegetali. Al gruppo di esperti scientifici è stato chiesto di valutare se i correnti documenti orientativi fossero ancora validi per piante sviluppate utilizzando le nuove metodiche che includevano intragenesi, cisgenesi e tecnica della nucleasi a dito di zinco (ZFN). Il gruppo di lavoro ha concluso che l’attuale guida alla valutazione del rischio (tra cui una guida alla valutazione dei rischi ambientali) era applicabile anche alla valutazione di alimenti e mangimi derivati tramite queste nuove tecniche. Nel 2013 la Commissione europea ha richiesto che l'EFSA sospendesse ulteriori valutazioni di nuove tecniche di miglioramento vegetale, per consentire al gruppo OGM di concentrarsi sulla valutazione di richieste di autorizzazione di OGM e sullo sviluppo di linee guida. Per i dettagli è possibile scaricare il pdf sottostante.
In Italia la discussione sulle nuove tecniche biotecnologiche, ed in particolare sulla cisgenesi e il genome editing è stata portata in senato il 30 luglio del 2015 come “Affare assegnato sulla materia delle nuove tecnologie in agricoltura, con particolare riferimento all'uso delle biotecnologie sostenibili e di precisione (Atto n. 591)”. Da allora fino a luglio 2016 la 9ª Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) ha eseguito nove sedute con audizioni di rappresentanti del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), appresentanti del Consiglio nazionale per le ricerche (CNR) del Presidente della Società italiana di biologia vegetale (SIBV) e del Presidente della Società italiana di genetica agraria (SIGA) di rappresentanti della Fondazione Edmund Mach di rappresentanti di Greenpeace Italia dell'Associazione italiana sementi (Assosementi) e di esperti vari (tra cui anche i ricercatori di IGA).
Il mondo della ricerca sostiene che miglioramento genetico vegetale rappresenta uno dei settori attraverso i quali è possibile aumentare competitività e sostenibilità del sistema agricolo anche rispetto alle sfide della efficienza produttiva, dei cambiamenti climatici, della sostenibilità delle produzioni, con riferimento soprattutto alla riduzione dell’uso dei pesticidi. Tra le nuove tecniche biotecnologiche, quelle più promettenti e per le quali vi è un notevole interesse della comunità scientifica, sono la cisgenesi e il genome editing. Si tratta di tecnologie di recente messa a punto che permettono di modificare in modo mirato il patrimonio genetico di una varietà commerciale, frutto spesso di numerosi anni di breeding, riproducendo quanto avviene attraverso le mutazioni naturali o l’incrocio naturale (processi che sono alla base della struttura genetica delle moderne varietà coltivate di tutte le specie agrarie), ma in maniera rapida e selettiva.
ll miglioramento genetico vegetale rappresenta uno dei settori attraverso i quali è possibile aumentare competitività e sostenibilità del sistema agricolo anche rispetto alle sfide della efficienza produttiva, dei cambiamenti climatici, della sostenibilità delle produzioni, con riferimento soprattutto alla riduzione dell’uso dei pesticidi. Tra le nuove tecniche biotecnologiche, quelle più promettenti e per le quali vi è un notevole interesse della comunità scientifica, sono la cisgenesi e il genome editing. Si tratta di tecnologie di recente messa a punto che permettono di modificare in modo mirato il patrimonio genetico di una varietà commerciale, frutto spesso di numerosi anni di breeding, riproducendo quanto avviene attraverso le mutazioni naturali o l’incrocio naturale (processi che sono alla base della struttura genetica delle moderne varietà coltivate di tutte le specie agrarie), ma in maniera rapida e selettiva.
Patricija Muzlovic
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Cosa significa di preciso "innovazione varietale"?
L’innovazione varietale significa selezionare varietà che possono fornire produzioni di alta qualità con ridotto fabbisogno energetico ed a basso impatto ambientale e per rispondere alle esigenze sempre più eco-consapevoli dei consumatori. La Convenzione internazionale UPOV del 1991 definisce come “varietà” insieme di individui coltivati identificabili mediante l’espressione delle caratteristiche risultanti da un dato genotipo o da una combinazione di genotipi, che si distingue nettamente da un qualsiasi altro insieme vegetale per almeno una delle suddette caratteristiche e che dopo cicli di moltiplicazione successive conservi le proprie caratteristiche distintive.
L’Unione Internazionale per la Protezione delle Nuove Varietà Vegetali è nata a seguito di una Convenzione, sottoscritta a Parigi nel 1961 appunto per la protezione delle nuove varietà di piante. Entrata in vigore nel 1968, è stata poi oggetto di successive revisioni nel 1972, 1978 e 1991 (quest'ultimo in vigore dal 24/4/1998). Scopo dell'UPOV è quello di promuovere un efficiente sistema di protezione sui ritrovati vegetali ed assicurare che i membri dell'Unione riconoscano i risultati raggiunti dai costitutori vegetali, concedendogli un diritto di proprietà intellettuale. Inoltre assiste i paesi membri nel processo di implementazione nella propria legislazione nazionale. Attualmente (luglio 2011) aderiscono all'UPOV 70 paesi, fra cui anche l'Italia.
Per essere idonee alla protezione, le varietà devono rispondere a requisiti di: novità e distinguibilità dalle varietà già esistenti, uniformità e stabilità. I costitutori vegetali (breeders) che operano in Italia hanno due possibilità alternative per tutelare le proprie novità vegetali:
- tutela solo per l'Italia, con la protezione nazionale per le nuove varietà vegetali, attraverso il Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n.30;
- tutela per tutto il territorio della Comunità Europea, con il regime comunitario di privativa per i ritrovati vegetali (Reg. (CE) 2100/94).
Patricija Muzlovic